Cineteatro Gerini

Nel 1952 il Marchese Alessandro Gerini, uno degli uomini più ricchi d’Italia, detto “il costruttore di Dio”,  dona ai salesiani un terreno adiacente alla via Tiburtina, perché vi sia realizzato un polo educativo e assistenziale per i giovani: orfanotrofio, oratorio, scuola professionale, impianti sportivi, etc. Il centro dovrà essere dedicato alla memoria di sua madre, la Marchesa Teresa Gerini Torlonia.
Nel 1953 viene rilasciata la concessione edilizia per realizzare un teatro da 1500 posti, uno stadio con palestra coperta, altre infrastrutture sportive, un oratorio con chiesa e una scuola professionale.
Il complesso viene ultimato e inaugurato nel 1957, come riportato nel Bollettino Salesiano n. 23 del 1°dicembre 1957.

L’articolo del “Bollettino Salesiano” del 1957 in cui si parla dell’inaugurazione del Gerini

Questa la descrizione del complesso, nel citato articolo del “Bollettino Salesiano”:

Il grande Istituto sorge alla periferia dell’Urbe nella borgata di Ponte Mammolo e sembra materialmente e idealmente collegato con l’anello delle Opere Salesiane che in questi ultimi anni, venendo incontro alle pastorali ansie del Sommo Pontefice Pio XII, sono fiorite nei nuovi quartieri periferici della, città.
Quasi a rendere socialmente più moderna ed efficace la sua azione, l’Opera Salesiana è stata innalzata in quella parte della città che sta diventando la zona industriale di Roma, nel centro di un futuro quartiere popolare ai margini degli stabilimenti. La Parrocchia, già affidata ai Salesiani, svolgerà l’assistenza spirituale della popolazione, col vantaggio di precedere il completo sviluppo delle abitazioni civili.
L’Oratorio si rivolgerà in modo speciale ai giovani, per la loro educazione morale e per un sano divertimento, mirando a creare delle nuove generazioni capaci di dare un volto spiccatamente cristiano a tutto il sobborgo.
A questo fine dispone di vastissimi campì sportivi, di un ampio teatro modernamente attrezzato, di cortili interni con lunghi porticati, di eleganti sale da gioco e di lettura, di saloni per riunioni, di numerose aule per la istruzione religiosa e di una luminosa ed accogliente Cappella.
Le Scuole Professionali per alunni esterni, dotate degli ultimi ritrovati del progresso, prepareranno tecnicamente i futuri operai, che potranno trovare facile assorbimento di lavoro nell’industria.
È un’Opera nel suo genere completa, in piena risonanza con l’ambiente, destinata a diventare centro di vita per decine di migliaia di persone, punto di irradiamento per l’affermazione dei più alti valori spirituali nel mondo del lavoro e della tecnica.
Alcune cifre daranno un’idea della eccezionale grandiosità dell’Opera.
Il fronte del vasto complesso si estende per circa mezzo chilometro sulla via Tiburtina. La superficie è di 120.000 metri quadrati (la Città Universitaria di Roma ne occupa circa 160 .000).
Il volume è di 252.000 metri cubi (una scuola di 50.000 metri cubi è normalmente considerata molto grande). L’Opera viene a costare complessivamente oltre tre miliardi. Due miliardi per i tredici padiglioni. Un miliardo per macchine, attrezzature tecnico-scientifiche e arredamento. È escluso il valore del terreno e della erigenda chiesa parrocchiale.
«E tutto questo – scrive L’Osservatore Romano – non è fatto per i signori, come la facile demagogia va bofonchiando quando deve demolire; ma è fatto per l’umile gente che non è più abbandonata, nè si vuole incantare di chiacchiere e di sogni; è fatto per l’umile gente cui bisogna comunicare un senso decoroso di dignità, di proprietà, di amore per le cose».
Per dare un’idea più completa, dell’Opera, aggiungiamo che le Scuole Professionali potranno accogliere oltre 1200 allievi esterni, con otto edifici collegati da portici, attorno a tre ampi cortili, di cui il maggiore misura 8300 metri quadrati. La Scuola comprende i tre Laboratori di Meccanica, Elettromeccanica, Elettronica, dotati di uffici tecnici, sale di prova, magazzini e sale macchine, uniche per vastità e modernità d’impianti.
La maggiore, quella di meccanica, misura 5000 metri quadrati. Vi sono inoltre 36 aule per l’insegnamento teorico, sale di studio per doposcuola, refettori, sale per mostre professionali, ecc.
L’Oratorio, per oltre 2000 giovani, comprende una grande Cappella propria – un gioiello di
eleganza e modernità; – 16 aule per catechismo e ricreazione interna; 2 saloni per riunioni ; stadio con due gruppi di tribune, due campi regolari di calcio, campi da tennis, pallacanestro, pallavolo, piste per corse, atletica e pattinaggio ; palestra coperta fornita di tutti gli attrezzi ; cine-teatro per 1500 posti, impianto sonoro e cinemascope, palcoscenico a piani elevabili e impianto ad aria condizionata .
La chiesa parrocchiale (erigenda) sarà dedicata a San Domenico Savio e avrà un volume di 25.000 metri cubi.
Così nel nome di Don Bosco, il Santo che scese tra i primi nella periferia di una città moderna per preparare le giovani generazioni ai compiti della nostra civiltà, sorge in Roma quest’opera di eccezionale portala, in armonia con quel programma nel quale Egli seppe conciliare da oltre cento anni le esigenze della fede e del lavoro.
In questa felice realizzazione si sono incontrati un unto, che confidava solo e sempre nella Provvidenza, e un Benefattore che – munifico ministro della Provvidenza – ha posto i suoi beni nelle mani di Don Bosco, nel comune amore per i figli del nostro popolo. E non fu meno provvido disegno di Dio l’aver messo al fianco del Marchese Gerini, per l’attuazione del vasto disegno, un Uomo dalle larghe vedute, l’ultimo Superiore del Capitolo Salesiano educato nell’Oratorio di Torino, vivente ancora Don Bosco: l’Economo Generale Don Fedele Giraudi.

Vista aerea deli’Istituto Gerini presa dal Bollettino Salesiano del 1957. In giallo il teatro, in rosso la parte interamente demolita (oratorio, chiesa e impianti sportivi)

L’Istituto Gerini in una foto aerea d’epoca

L’istituto visto sul lato della via Tiburtina. L’edificio con il tetto curvo è il teatro. La parte alla sua destra è quella che è stata demolita.

Nel 1978 nell’area si insedia anche la Residenza dei Salesiani, per ospitare gli studenti di teologia che sarà poi chiusa nel 2000 a causa della mancanza di vocazioni.

Nel 2003 i salesiani vendono una cospicua parte dell’Istituto ad una società privata: l’area ceduta è quella relativa all’oratorio, al teatro e agli impianti sportivi. Tale vendita causerà un’azione legale da parte degli eredi Gerini che accuseranno i salesiani di aver snaturato gli scopi della donazione originale: la richiesta di indennizzo non sarà però riconosciuta dal tribunale.

Nel 2006 una grande mobilitazione di personaggi dello spettacolo cerca di impedire la demolizione degli edifici al posto dei quali si intende costruire degli esercizi commerciali.
Nel 2007 gli edifici, e il teatro, vengono occupati dai comitati sorti per la loro difesa. In teatro vengono organizzati numerosi eventi culturali di spessore, tutti a titolo completamente gratuito.
Nel 2008 la proprietà inizia la demolizione dello stadio e delle altre strutture sportive.

L’area prima della demolizione (il teatro è evidenziato in giallo)

La situazione attuale (2020). Il teatro è evidenziato in giallo e alla sua destra sono visibili i capannoni commerciali

Nel 2009 la proprietà si impegna a non demolire il teatro e a cederlo a titolo gratuito al Comune di Roma, cosa che avviene con l’accettazione del Comune nel 2013.
Ad oggi il teatro è chiuso e non utilizzato mentre nell’area demolita dell’oratorio e dei campi sportivi sono stati realizzati due capannoni destinati al commercio al dettaglio di generi alimentari e detersivi.


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Officine Romanazzi

Nel 1907 Stefano Romanazzi apre a Putignano, in provincia di Bari, una piccola officina per la costruzione di carrozze. Nel 1912, dopo la morte di Stefano, l’attività, che nel frattempo sta avendo grande successo, viene spostata dal figlio Nicola dalla piccola officina a una sede più grande nel capoluogo, Bari.

La produzione si orienta sulla costruzione delle carrozze per tramvai a cavallo, andando incontro alla forte domanda del periodo. La Romanazzi riesce a superare con forza la crisi della fine del primo ventennio del secolo scorso, arrivando a spostarsi in una sede ancora più grande, sempre a Bari, con ben settanta dipendenti.

Da quel momento, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, la produzione si concentra nel settore degli autoveicoli industriali destinati ai nuovi centri di espansione italiana all’estero.

Alla fine del conflitto, viene ricostruito l’impianto di Bari e una nuova sede viene aperta a Roma. Qui sarà portata la produzione e la direzione con gli uffici ed è l’oggetto delle nostre fotografie in questa scheda.

Una bizzarra vetturetta (l’unica mai creata dalla Romanazzi) costruita carrozzando un telaio e motore di un’Ape Piaggio (1953) – Fonte allcarindex.com

Con le officine di Roma la Romanazzi si colloca in breve tempo tra le prime aziende del proprio settore. La sede romana sorge in quella che, all’epoca, era piena campagna, all’angolo tra via Tiburtina e via di Tor Cervara, a pochi metri di distanza dalla fabbrica della penicillina Leo.

Operai delle Officine Romanazzi, davanti allo stabilimento di Roma, in una foto d’epoca dell’archivio de l’Unità

Nel 1950, dopo la morte di Nicola, i quattro figli si occupano assieme dell’azienda: Stefano ed Aurelio, a Bari e Paolo con Benedetto a Roma.

Il boom economico vede la Romanazzi protagonista delle nuove necessità di trasporto e l’azienda apre nuove sedi in Italia: Cagliari (1958), Napoli (1962), Palermo (1963), Brescia (1964) e Torino (1967).

Agli inizi degli anni ’70 inizia quella che sarà una lunga e proficua collaborazione con il gruppo FIAT (successivamente IVECO) che porterà la Romanazzi ad aprire sedi anche all’estero, nei paesi in cui l’export della casa torinese è più forte (principalmente Francia e Germania).

La produzione principale riguarda semi/rimorchi, ribaltabili, cassoni in lega, assi aggiunti che vengono distribuiti, oltre che sul territorio nazionale, anche in Europa, nei paesi del Nord Africa, Medio ed Estremo Oriente. L’innovazione tecnologica consente lo sviluppo di una nuova linea di produzione per i cassoni fissi, interamente realizzati in acciaio inox con sponde in lega.

Personaggio di spicco nella storia dell’azienda nei suoi anni di maggior splendore è stato Paolo Romanazzi. Imprenditore “all’antica”, vuole la leggenda fosse uno dei primi a entrare la mattina negli stabilimenti di via Tiburtina 1072, controllando sempre tutto di persona.

Paolo Romanazzi

Grande frequentatore dei salotti buoni e della dolce vita romana degli anni ruggenti, era amico personale del Senatore Giovanni Agnelli, oltre che suo partner industriale. Sfuggì a un tentativo di sequestro sul grande raccordo anulare di Roma: erano gli anni ’70 quando quasi tutti i grandi industriali, per timore di simili episodi, mandavano i propri figli a vivere e a studiare in Svizzera. Paolo Romanazzi muore nel 2017 a 83 anni dopo aver assistito al fallimento della propria azienda.

L’area delle officine a Roma è stata in parte riutilizzata con la costruzione di un edificio adibito a uffici, nella parte prospicente la via Tiburtina, mentre alle sue spalle sopravvivono le rovine dei capannoni industriali. Il tentativo di recupero dell’area, in cui si era ipotizzato di costruire la nuova sede di Poste Italiane, non andò a buon fine, sfociando in un lunghissimo contenzioso giudiziario tra la famiglia Romanazzi e le autorità italiane, arrivato sino al giudizio avverso ai Romanazzi, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.  L’impegno economico per questa riconversione poi sfumata, portò alla bancarotta dell’azienda.


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Il Campo Boario del mattatoio di Roma

Il Campo Boario a Testaccio, ventesimo rione di Roma, fu realizzato a tempo di record tra il 1888 e il 1891 su progetto dell’architetto Gioacchino Ersoch. Situato in posizione adiacente al nuovo mattatoio di Testaccio, progettato e costruito negli stessi anni da Ersoch, il campo Boario era il luogo dove venivano custoditi gli animali prima di essere avviati al macello e dove si effettuavano le contrattazioni tra i mercanti di bestiame. L’area era divisa in due zone, una per il bestiame domito e una per quello indomito, con ingressi e uscite diversi. Un camminamento, protetto da barriere di ferro, consentiva il passaggio delle persone verso l’area delle contrattazioni; a metà circa del percorso fu costruito un padiglione a due piani con la funzione di torretta di controllo; infatti dalla terrazza , raggiungibile grazie ad una scala elicoidale in ferro, era possibile osservare tutto il mercato.

L’area su cui sorgeva il Campo Boario aveva una superficie superiore a quella del mattatoio vero e proprio (55.000 mq circa contro i 50.000 mq). I manufatti che compongono lo stabilimento furono realizzati sul principio della modularità; ciò è evidente soprattutto nelle strutture in ferro, che combinate in vario modo, formavano i ricoveri per il bestiame e i padiglioni dove si esponevano gli animali. Il ferro fu usato dall’architetto anche per la sua capacità di durata nel tempo.

Il mattatoio di Roma fu per molti anni il più avanzato in Europa.

Fu dismesso nel 1975 e sostituito con una nuova struttura posta al quartiere Prenestino. Nel 1976 negli spazi del Campo e del Mattatoio furono girate alcune scene del film “I padroni della città” di Fernando di Leo. Nel 1977 cominciarono i primi smantellamenti.

Le fotografie presenti nella galleria più sotto risalgono alla fine degli anni ’70.

Negli spazi del Campo Boario, nel 2007, è stata inaugurata la sede permanente di 3500 mq della Città dell’Altra Economia, con esposizione, vendita, ed eventi dedicati alla agricoltura biologica e solidale. Nell’area sono presenti anche una libreria, una ludoteca, un bar e un ristorante a vocazione biologica.

Nel mattatotio invece sono stati ristrutturati diversi padiglioni:

  • nel 2002 due di essi sono stati destinati alla seconda sede del museo MACRO
  • nel 2010 uno di essi è stato aperto a studenti e docenti della facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre
  • nel 2013 in 3 padiglioni sono stati trasferiti gli uffici e i laboratori del Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre
  • all’ingresso è ospitata la Scuola popolare di musica di Testaccio e il centro anziani Testaccio

 

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Prospetti

Veduta del Campo Boario dal Monte dei Cocci (inizi ‘900)

Al centro si puo’ vedere la torretta di osservazione; sulla sinistra i padiglioni per la vendita del bestiame; a destra della torretta i numerosi rimessini che furono tolti nel 1997 e ancora piu’ a destra le tettoie che coprivano i camminamenti.

       
Padiglione centrale e padiglioni vendita del bestiame
       
Edificio destinato agli uffici e alla Borsa
       
Fabbricato di ingresso al mercato del bestiame

Le immagini precedenti sono tratte dal libro “Roma Memorie di una città industriale” recensito qui

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Mostra di LostItaly a Roma

La biblioteca Vilfredo Pareto dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con LostItaly, presenta la mostra fotografica

identità e memoria dei luoghi abbandonati

(scarica la locandina in pdf)

dal 29 marzo al 29 luglio 2017
presso Biblioteca Vilfredo Pareto – Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Via Columbia, 2 – Roma – tutti i giorni (sabato escluso) dalle 10:00 alle 19:00

Inaugurazione 29 marzo 2017 ore 17
con la partecipazione dei prof. Maria Prezioso e Alberto Manodori Sagredo

L’evento sulla pagina dell’Universita di Tor vergata

Più di dieci anni fa un piccolo gruppo di fotografi dilettanti decise di riunirsi in un forum per condividere una grande passione: i luoghi abbandonati.
All’epoca quasi soltanto all’estero esistevano fotografi che scoprivano, esploravano e raccontavano fabbriche, manicomi, ospedali e ville dimenticati da tutti.
Da allora l’attività fotografica di questo gruppo si è sempre affiancata al recupero delle informazioni storiche sui luoghi, con l’obiettivo di creare una sorta di memoria collettiva di un mondo che sta pian piano sparendo e le cui tracce sopravvivono soltanto nelle nobili macerie dimenticate da tutti.
Da questo progetto nasce LostItaly.it, dove molti di questi luoghi sono raccontati con notizie storiche e fotografiche.
La possibilità di ritrarre luoghi in abbandono che abbiano una valenza estetica sta pian piano scemando, poiché ormai quel che viene costruito oggi e sarà abbandonato in futuro, ha sempre più raramente una peculiarità architettonica che lo possa rendere affascinante nel suo declino.
Da qui l’interesse e l’importanza del lavoro di rappresentazione e ricerca svolto da LostItaly.it, che intende conservare la memoria storica di luoghi importanti per la nostra società e non solo per chi li ha vissuti tramandandoci, quasi sempre inconsapevolmente, tracce della propria esistenza.

Sono esposte le fotografie di Cristiano Antognotti, Sandro Baliani, Roberto Conte, Gualtiero Costi, Roberto Diodati, Marco Orazi, Pietromassimo Pasqui, Giovanni Maria Sacco, Valeria Spiga.


 

Come raggiungerci

La Mira Lanza di Roma

Nel 1899 la Società prodotti chimici colle e concimi acquista dalla famiglia Ceccarelli un terreno nella zona sud di Roma, poco distante dal mattatoio, sul lato opposto del Tevere. Ad opera dell’ingegner Giulio Filippucci vengono costruiti i primi edifici in mattoni dell’opificio che comprendono la produzione del superfosfato, dell’acido nitrico e dell’acido solforico. Vengono anche costruiti i forni per la pirite, materia prima con cui si preparano i fertilizzanti.

Magazzini (attuale teatro India) e forni pirite (1899) [1]

Nel 1906 parte dell’area viene venduta alla Società italo americana per il petrolio, che ci farà un deposito, e nel 1913 la Società prodotti chimici colle e concimi cessa la propria attività. A seguito del fallimento l’area passa al Comune di Roma che, con il sindaco Ernesto Nathan, pianifica di destinarla ad impianto per la gestione dei rifiuti. Tale progettò non andrà mai in porto poiché pressioni politiche spingeranno il Comune a vendere l’area alla Fabbrica candele steariche di Mira. La Mira, infatti, oltre a produrre candele produce anche glicerina che viene usata per la produzione di esplosivi e produrre tale componente a Roma è di importanza strategica per rifornire i dinamifici di Segni e di Isola del Liri. Inoltre l’area è vicinissima al mattatoio di Roma, i cui scarti grassi sono usati per la produzione di sapone, e a due importanti direttrici logistiche:  la linea ferroviaria Roma-Civitavecchia (che allora passava sull’attuale “ponte di ferro“) e il Tevere. Inoltre, con la guerra in corso, la Mira si trova costretta a delocalizzare al sud poiché nello stabilimento di Mira la mano d’opera maschile è tutta al fronte.

Al termine della prima guerra mondiale la Mira inizia ad allargare lo stabilimento poiché i fabbricati e macchinari della precedente società sono inadatti alle nuove produzioni. Oltre a quanto necessario per la produzione, vengono anche costruiti un refettorio, un asilo per i bambini degli operai, un’infermeria.

Sono questi gli anni della “guerra del sapone” che vede contrapposte la Mira e la sua più agguerrita concorrente, la piemontese Unione Stearinerie Lanza. La produzione e le strategie di marketing delle due società sono praticamente identiche, e la competizione abbatte drasticamente i prezzi, contribuendo alla diffusione in Italia del sapone con innegabili effetti positivi sull’igiene pubblica di un paese appena uscito da una lunga guerra. Dopo anni di concorrenza spietata, l’arrivo in italia di forti competitor stranieri (le tedesche Benckiser e Henkel e l’americana Procter & Gamble) spinge i due storici nemici a una alleanza che si traduce nel 1924 nella fusione tra le due aziende con la nascita della Mira Lanza.

I progetti della centrale termoelettrica che non venne mai realizzata (1939) [1]

A seguito della fusione lo stabilimento di Roma subisce molte trasformazioni dovute alle ottimizzazioni sinergiche. La palazzina che ospita la direzione e gli uffici, non più necessaria poiché la sede della nuova società si trova a Genova, viene dismessa e ceduta al Comune di Roma che ne fa una scuola, tutt’oggi esistente (edificio 8 nella mappa). Vengono inoltre costruiti nuovi edifici, non collegati alla produzione vera e propria ma più che altro alla logistica o ai servizi, come gli alloggi per gli operai, due dei quali sono ancora presenti, in stato di abbandono, in via dei Papareschi.

Gli alloggi degli operai su via Papareschi, in mappa (12)

Gli alloggi degli operai su via Papareschi, in mappa (13)

 La Mira Lanza, nel periodo tra le due guerre, continua a crescere aumentando incassi e profitti. Durante il fascismo arriva addirittura a produrre per la concorrente Palmolive, che riesce così ad aggirare il protezionismo del regime.

La seconda guerra mondiale provoca una profonda crisi aziendale, dovuta alla carenza di mano d’opera e di materie prime. Subito dopo il conflitto la Mira Lanza inizia a produrre i primi detersivi sintetici, non più basati su materie prime di origine animale. Questo porta in breve tempo all’obsolescenza degli impianti di Roma la cui tecnologia era basata sull’utilizzo degli scarti di macellazione del vicino mattatoio: risulterebbe troppo oneroso riconvertirli. Si arriva così alla chiusura dello stabilimento di produzione romano nel 1952.  La parte dello stabilimento vero e proprio viene ceduta la comune di Roma nel 1961 mentre gli edifici e i magazzini che affacciano su via Pacinotti saranno utilizzati ancora per molti anni per la distribuzione ai grossisti e per la gestione dei premi della famosa raccolta di figurine.

La produzione nel Lazio riprenderà nel 1964 con la costruzione dello stabilimento di Mesa, in provincia di Latina.

Attualmente una parte del nucleo originario della Società prodotti chimici colle e concimi  è stata ristrutturata e recuperata e ospita il teatro India del Comune di Roma (area 1 nella mappa).

L’area ristrutturata del teatro India, in mappa (1) e (4). Sullo sfondo il gasometro sulla riva opposta del Tevere.

Forni pirite e deposito acido solforico, in mappa (4)

L’area adiacente (2 e 3 in mappa), sempre del nucleo storico di fine ‘800, è in totale abbandono ed è stata oggetto di numerose occupazioni. A seguito di uno sgombero nel 2014 la parte (2)  è data alle fiamme e viene pesantemente danneggiata.

Gli edifici che affacciano su via Pacinotti, gli ultimi a essere dismessi negli anni ’70, sono oggi utilizzati dalla Croce Rossa Italiana.

Il vecchio ingresso su via Pacinotti, oggi in uso alla Croce Rossa, in mappa (10)

Nel 2016 999Contemporary si rende protagonista di un interessante iniziativa con l’artista francese Seth: l’area (2) viene trasformata in un museo “abusivo” grazie alle istallazioni e ai disegni di Seth. Per visitare il museo occorre entrare abusivamente e illegalmente nell’area da un buco nella recinzione. Vuole essere una provocazione per le istituzioni capitoline affinchè si rendano parte attiva nel recupero dell’area. Dal 2017 una famiglia Rom abita nel museo e Tito, il capo famiglia, ne è direttore e curatore .

Mappa attuale dell’area (Google maps) con legenda degli edifici

Legenda degli edifici (tra parentesi la data di costruzione)

  1. Magazzino (1919). E’ stato ristrutturato e attualmente ospita il teatro India
  2. Saponificio (1919). In abbandono, ospita l’Ex Mira Lanza Museum
  3. Caldaie ed estrazione grassi (1919). In abbandono
  4. Forni pirite e deposito acido solforico (1919). In ristrutturazione in carico al teatro India
  5. Deposito perfosfato (1907). Attualmente in dotazione alla Croce Rossa Militare
  6. Uffici e abitazioni (1899-1907). Attualmente in dotazione alla Croce Rossa Militare
  7. Portineria, infermeria, asilo, refettorio (1918).
  8. Direzione generale, uffici tecnici e laboratori chimici (1918). Venduto al comune di Roma ospita, dal 1924,  la scuola Giovanni Pascoli.
  9. Area della Società Italoamericana del petrolio (1906).
  10. Stazione autocarri (1919). Attualmente in dotazione alla Croce Rossa
  11. Scuderie (1920).
  12. Alloggi. In abbandono
  13. Alloggi. In abbandono
  14. L’area, ora vuota, ospitava alcune parti degli impianti, tra cui: macchinario per il superfosfato, deposito acido nitrico, deposito solfato di rame, spogliatoio e mensa, portineria, raffinazione olii, impianto per la glicerina di liscivia. Sempre in quest’area avrebbe dovuto sorgere la centrale termoelettrica alimentata con gli scarti della sansa di oliva. Venne presentato il progetto con la richiesta edilizia al comune nel 1939 ma la guerra mondiale alle porte fermò la costruzione.

Galleria fotografica (pellicola b/n)


Galleria fotografica (l’installazione di Seth)

 


Riferimenti in rete

Bibliografia

  • ENRICA TORELLI LANDINI, 2007, “Roma – Memorie della città industriale“, Palombi editore (da cui sono tratte le immagini [1]  dei progetti d’epoca 

I mercati generali di via Ostiense a Roma

Con il trasferimento della capitale a Roma, nel 1870, si sceglie l’area a sud della città per lo sviluppo di molte infrastrutture fondamentali. L’area viene scelta per la facile movimentazione delle merci grazie al fiume Tevere, allora navigabile sino al mare, e alla ferrovia Roma-Civitavecchia.

Numerose le attività produttive che sorgono in quest’area.

mercati_generali_mappa

L’area Ostiense/Testaccio oggi (2016)

Le principali sono:

  • tra il 1888 e il 1890 viene costruito il mattatoio (A), su progetto di Gioacchino Ersoch
  • nelle immediate vicinanze sorgono i laboratori conciari che ne utilizzano i pellami di scarto
  • sempre per sfruttare gli scarti del mattatoio, nel 1899 si insedia nell’area la società Colla e Concimi (C)
  • nel 1910 inizia la produzione la Fabbrica del Gas (D), utilizzando il carbone che arrivava via fiume su chiatte o via ferrovia dal porto di Civitavecchia (l’origine del carbone era l’Inghilterra). La ferrovia passava sul ponte in ferro, tuttora esistente e oggi adibito al traffico automobilistico.
  • nel 1912 vengono inaugurati i magazzini generali (B)
  • la Società Colla e Concimi viene rilevata dalla Miralanza (C) nel 1918 che inizia la produzione prima di candele e poi di detersivi, utilizzando il grasso animale proveniente dal mattatoio
  • nel 1912 viene inaugurata la centrale elettrica Montemartini (E)
  • nel 1913 iniziano i lavori per la realizzazione dei mercati generali (F), inaugurati poi nel 1922

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La “fabbrica del gas”, in una foto d’epoca, vista dalla sponda opposta del Tevere

E’ la giunta del sindaco Ernesto Nathan (in carica dal 1907 al 1913) ad individuare l’area per i nuovi mercati lungo la via Ostiense: il voto del Consiglio Comunale è del 24 giugno 1910. Il progetto originale, dello stesso anno, è di Emilio Saffi e prevede due distinte aree: una per gli erbaggi e la frutta e un’altra per le carni, le uova e il pesce. Inoltre l’area (138 mila mq) è servita dalla linea ferroviaria e, nel breve futuro, dalla linea ferrata Roma-Ostia che sarà ufficialmente inaugurata nel 1924.

Nella Rivista di Ingegneria Sanitaria e di Edilizia Moderna del 15/05/1915 troviamo una interessante descrizione del progetto del Saffi:

I lavori iniziano nel 1913 e, a causa anche dello scoppio della prima guerra mondiale, vanno molto a rilento. La prima parte viene aperta solo nel 1922 e i lavori per il completamento continuano per numerosi anni ancora.

Sino alla loro chiusura i mercati generali furono teatro di una folcloristica usanza natalizia: il Cottìo. Si trattava dell’asta del pesce che aveva luogo la notte dell’antivigilia di Natale. In tale occasione i cancelli dei mercati generali venivano aperti e i commercianti  offrivano cartocci di pesce fritto al pubblico.

L’area viene utilizzata fino al 2004 quando i mercati generali vengono trasferiti definitivamente nell’area ad est della capitale lungo l’asse della Tiburtina.

Nel 2005 l’architetto Rem Koolhas vince il bando internazionale per la riqualificazione dell’area, indetto dal Comune di Roma. Inizia così un lungo cantiere che a tutt’oggi (2016) non ha recuperato che la facciata su via Ostiense a seguito di intricate vincende.

 


Foto storiche


Gallerie fotografiche

 

Foto Pasquale Aiello


Riferimenti in rete

Le torri dell’EUR

Il quartiere dell’EUR, a sud di Roma, venne pensato, progettato e realizzato come sede dell’Esposizione Universale del 1942, da cui l’acronimo. Realizzato negli anni 30 del secolo scorso, non fu mai terminato a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Al termine della guerra ci si ritrovò, quindi, con una monumentale opera incompiuta e le Olimpiadi del 1960 furono l’occasione per rimettere mano a quest’area. Il commissario straordinario dell’Ente EUR, Virgilio Testa, portando avanti un progetto di decentramento amministrativo della capitale, incarica un pool di architetti della costruzione della nuova sede del Ministero delle Finanze su un’area di oltre 15.000 mq. Gli architetti scelti saranno Cesare Ligini, Vittorio Cafiero, Guido Marinucci e Renato Venturi.

E’ prevalentemente Cesare Ligini ad occuparsi della progettazione della nuova sede, pensando tre alte torri affiancate da altre due costruzioni più basse. Quattro edifici comunicano tra loro con una struttura di raccordo al primo piano.

Le due costruzioni più basse ospitano, rispettivamente, la sede del Ministro con gli uffici di rappresentanza e la sede del Comando Generale della Guardia di Finanza. Le tre alte torri, invece, sono adibite ad uffici ed archivio.

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Il complesso delle torri in una cartolina d’epoca

Il boom

Il complesso delle torri in un fotogramma del film Il boom di Vittorio De Sica (1963)

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L’interno del complesso in un fotogramma del film Boccaccio ’70 (1962)

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Ancora da Boccaccio ’70 (1962) una panoramica dell’EUR presa dal Palazzo dello Sport. A destra il complesso delle torri

A seguito dello spostamento degli uffici del Ministero le torri sono rimaste in stato di abbandono sino al 2007 quando, per evitare probabilmente il sopraggiungere di vincoli storici che ne avrebbero bloccato qualsiasi trasformazione, furono interamente spogliate lasciando soltanto la struttura in cemento armato. Accanto ad esse stava sorgendo la cosiddetta Nuvola di Fuksas e una cordata di imprenditori, tra cui Fintecna e Ligresti, ottenne l’autorizzazione per finire l’abbattimento degli scheletri e costruire un maxi-condominio di lusso progettato dall’architetto Renzo Piano.

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Il complesso delle torri come appare nel 2015 nelle immagini aeree di Google maps

Le torri stavano quindi per subire lo stesso destino di un’altra importante realizzazione di Ligini all’EUR, il Velodromo Olimpico, che venne abbattuto nel 2008.

La successiva crisi immobiliare spinse gli investitori privati a ritirarsi e per anni le torri sono rimaste scheletri di cemento abbandonati a se stessi, a un passo dal grattacielo dell’ENI e dal Palazzo dello Sport, progettato da Pierluigi Nervi.

A fine 2015 iniziano i lavori di ristrutturazione per realizzare il nuovo quartier generale della Tim all’interno delle torri, ma a metà 2016 il Comune di Roma revoca i permessi e Tim si ritira riportando l’area al completo abbandono.

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La ristrutturazione in corso nel 2016: il cantiere Telecom Italia


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Riferimenti in rete

LunEur

Luneur

C’era una volta, a Roma, il parco divertimenti più antico d’Italia la cui costruzione risale al lontano 1953. Il nome deriva dal quartiere, EUR (Esposizione Universale Romana, splendido esempio di architettura razionalista), dove il parco risiede. Le attrazioni, completamente meccaniche, cessarono l’attività nel 2008 su disposizione della prefettura di Roma per garantire la messa in sicurezza di tutta la zona. Il parco ha una estensione di circa 68.000 metri quadri, dei quali più di 50.000 sono destinati alle attrazioni che, stando agli attuali progetti e lavori di ristrutturazione (ad opera della Cinecittà Entertainment s.p.a.), dovrebbero essere destinate a bambini dai 0 ai 12 anni. Chi ha avuto la fortuna di entrare al LunEur nel periodo migliore della sua lunga storia, ovvero a cavallo degli anni ’70 e ’80, non può non ricordarlo come un po’ pacchiano e – a suo modo – decadente già allora. Purtroppo il parco non ha mai saputo rinnovarsi: solo nel 2007 vengono aggiunte alcune nuove attrazioni e si introduce un biglietto unico di ingresso, nel duplice tentativo di aumentare gli incassi e tenere lontani personaggi “indesiderabili”. Tuttavia, anche in considerazione del fatto che alcune attrazioni più “appetibili” richiedevano un supplemento, gli esercenti iniziarono ad avere diverbi sulla ripartizione degli incassi e, dopo solo un anno da questo tentativo di miglioramento, il parco chiude i battenti. Si spengono le luci e la musica, lasciando un vuoto che difficilmente verrà colmato con la nuova riapertura.

Il video seguente, girato in Super8, ci mostra come era il parco negli anni ’70:

Inoltre, curiosamente, una delle migliori attrazioni del parco, il Looping Star (montagne russe), di cui è visibile una foto (fonte www.italiaparchi.it), è stata ricollocata – mentre il LunEur era ancora in funzione – in un altro parco divertimenti di Roma, ZooMarine.

Dal momento della chiusura fino al 2012, quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione che dovrebbero terminare nella primavera del 2016 (vedi articolo), il parco è restato chiuso ed in stato di totale abbandono.


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Riferimenti in rete

Cartiera Amicucci Graziosi

Gli antichi processi di produzione della carta hanno sempre richiesto che un elemento fondamentale fosse disponibile in grande quantità: l’acqua.

Sin dal XV secolo, lungo il fiume Aniene nel Lazio, è documentata la presenza di opifici per la produzione della carta. Tra i vari centri urbani che ospitavano le cartiere Continua a leggere

La Miniera di Zolfo di Pomezia (COMIRO)

La S.P.A. COMIRO – Compagnia Mineraria di Roma – cominciò la sua attività il 18 ottobre 1971.
Già nel 1979 i lavoratori furono messi in cassa integrazione.
A metà degli anni 80  fu chiusa definitivamente.

Foto dal satellite

La miniera di zolfo era costituita dalla zona dello scavo (A), dall’impianto di invio del materiale tramite un lunghissimo nastro trasportatore (B) alla fabbrica sulla collina (C) che lavorava il materiale e produceva lo zolfo che si può vedere nella foto iniziale scattata quando era ancora in funzione.

Qui di seguito alcune foto che descrivono come era fatta la fabbrica.

La zona allagata dello scavo

La zona allagata dello scavo

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L’impianto di invio del materiale

Nastro trasportatore alla partenza

Nastro trasportatore alla partenza

Nastro trasportatore all'arrivo

Nastro trasportatore all’arrivo

La fabbrica vista dalla zona di scavo

La fabbrica vista dalla zona di scavo

Interno della fabbrica

Interno della fabbrica

Non si sa se la fabbrica fu chiusa per riduzione di materiale estratto o per la fuoriuscita dell’acqua dalla falda che creò un esteso laghetto dalla colorazione rossa.
Vicino al questo lago, creatosi a causa della fase estrattiva, ne esistono altri due, uno di colore blu ed uno bianco.
Tutta la zona, nota come Solforata e facente parte della Riserva Naturale di Decima Malafede, era conosciuta fin dall’anitichità come luogo di culto del dio Fauno.

“L’ubicazione di Albunea viene riconosciuta nella località Solforata, all’incrocio delle vie che collegavano i centri di Ardea, Lavinium ed Alba Longa. Albunea fu un luogo sacro, un santuario naturale cui faceva riferimento la religiosità delle antiche popolazioni latine. Il nome mitico deriva dal colore bianco (alba) delle effervescenti sorgenti sulfuree che alimentavano il lago che ancora oggi caratterizza la valle della Solforata. Un bosco, parte dell’antica Selva Laurentina, oggi scomparso, ed una serie di grotte naturali si univano alle esalazioni sulfuree realizzando un paesaggio straordinario, naturalmente sacrale. I Latini elessero Albunea come sede delle tre Fate: Parca, Nona e Morta (divinità fatali e protettrici dei nascituri) e dell’’oracolo di Fauno, lo spirito divino del bosco. L’oracolo poteva essere consultato attraverso il rito dell’incubazione. La particolare suggestione di questo luogo consentiva esperienze soprannaturali di oniromazia: durante il sonno si manifestava la voce di Fauno che rivelava agli umani il loro ineluttabile destino. Il Fato non veniva rivelato da sacerdoti o sibille, ma si disvelava direttamente, quale risultato di una esperienza personale; il sonno e il sogno si sostanziavano come strumenti di comunicazione tra il mondo dei vivi, il mondo dei morti ed il divino.”

Articolo di Alessandra Reggi tratto da “Atlante dei Beni Culturali delle Aree Naturali Protette di RomaNatura”.

Dal libro “La riserva naturale Decima-Malafede : la selvaggia bellezza di un angolo dell’Agro romano: conoscere per proteggere” si scopre che:

“La leggenda vuole che anche Re Latino, discendente del dio Fauno, si recasse ad Albunea, cioè alla Zolforata, per ricevere visioni dal proprio padre circa il futuro di sua figlia Lavinia. La divinità, apparsa in visione al re avvolto nelle pelli sanguinanti delle agnelle sacrificali, annuncia a Latino la venuta di Enea e prescrive quindi al re di annullare le annunciate nozze con Turno, re dei Rutuli, tribù stanziata nell’odierna Ardea.
La presenza della grotta con i resti di un altare ed il rinvenimento a poca distanza da qui, nella zona di Tor Tignosa, di cippi votivi dedicati ad una divinità minore collegata a Fauno accertano al di là di ogni dubbio la presenza del santuario.”

E che anche Virgilio ne parla nel VII libro dell’Eneide:

“…Mosso à portenti il re cerca e consulta di Fauno genitor profeta i detti e i selvosi recinti sotto l’alta Albunea, che né boschi più risuona con la sua sacra fonte e intorno spira tutta ombrosa mefitici vapori.
Da qui Vitale genti e tutta Enotria ne le dubbiezze lor chiedon responsi; qui poi che addusse offerte il sacerdote e su le pelli de l’uccise agnelle per la notte silente si distese desiando dormir, mirabilmente a torme vede vagolar fantasmi e varie voci ascolta e del colloquio degli Dei gode e volge la parola a l’Acheronte del profondo Averno.
E quivi allor esso Latino padre cento per un responso offria di rito lanigere bidenti e si giacea sù velli de le lor terga. Ad un tratto dal cuor del bosco voce gli rispose “Non voler la figliuola ad uom latino sposare, o mia progenie, e non fidarti à talami di qui; da fuor verranno generi, che per nozze il nostro nome portino in cielo, e di tal ceppo scesi i nepoti, per quanto stende il corso tra i due Oceani il sol, sotto i lor piedi….”

Tornando alla miniera di Zolfo, sempre dal medesimo libro apprendiamo che “la località è stata nel recente passato sconvolta dall’attività di una cava di zolfo che ha operato negli ultimi decenni, modificando ed alterando la morfo­logia dei luoghi”.


Galleria di foto


Riferimenti in rete

Percorsi geologici nel Lazio – Il Vulcano Laziale


Bibliografia

Atlante dei Beni Culturali delle Aree Naturali Protette di RomaNatura”
Gangemi 2010

La riserva naturale Decima-Malafede : la selvaggia bellezza di un angolo dell’ Agro romano: conoscere per proteggere
Marco Antonini
WWW Delegazione Lazio 1998

Leo farmaceutica

La penicillina venne ufficialmente scoperta in Inghilterra nel 1928 ad opera di Alexander Fleming, che per tale scoperta venne insignito del premio Nobel nel 1945, unitamente con Ernst Boris Chain e Howard Walter Florey.

Il primo utilizzo su larga scala della nuova scoperta avvenne durante la seconda guerra mondiale, ad opera principalmente degli americani che, a partire dal 1944, iniziarono a renderla disponibile anche per l’Italia. Al termine del conflitto l’Italia Continua a leggere

Orfanotrofio della Marcigliana

Alle porte di Roma, poco fuori il grande raccordo anulare, ci si imbatte in un vecchio e suggestivo edificio in abbandono. E’ un luogo piuttosto popolare per chiunque si interessi di abbandoni e viene spesso utilizzato come set fotografico o arena per giocatori di soft-air.

Cercando notizie in rete viene quasi sempre accreditato come “ex-manicomio”, ma non lo è mai stato, con buona pace dei cacciatori di fantasmi che entrano tra queste rovine con improbabili amperometri e antenne varie cercando di cogliere le “presenze” inquiete di spiriti folli.

Nei primi anni del ‘900 i Padri Giuseppini gestivano, in questa zona, la Colonia Agricola Romana della Bufalotta, su terreni da poco bonificati di proprietà del Pio Istituto della Santissima Annunziata di Roma. Si trattava di una grande scuola professionale agricola, destinata agli orfani di guerra e ai bambini abbandonati della provincia. Qui potevano imparare una professione e poi esercitarla nell’Azienda Famiglia, una sorta di cooperativa ante litteram.

All’interno della tenuta, nel 1933, venne costruito un orfanotrofio femminile, il cui fondatore è il Senatore Carlo Scotti (1863-1940) e sembra proprio che sia questo il nostro edificio abbandonato. Tutt’oggi la breve strada che porta all’edificio è intitolata alla santa Bartolomea Capitano che si era distinta per le opere assistenziali alle giovani.

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da Google maps

Nell’archivio dell’Istituto Luce è presente un cinegiornale del 1934 dove si vede chiaramente l’edificio durante una visita del Capo del Governo.

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Cinegiornale 1934

Su un quotidiano locale di Roma (La voce del municipio) è presente un’intervista alla Sig.ra Bruna che ricorda la sua infanzia trascorsa tra le mura di questo orfanotrofio

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Articolo su La voce del municipio

Negli ultimi anni di vita cambiò destinazione passando da orfanotrofio a istituto geriatrico.

L’edifico venne utilizzato anche come location di alcuni film.

Ne “I nuovi mostri” (di Risi, Monicelli e Scola, 1977), nell’episodio “Come una regina”, Alberto Sordi abbandona l’anziana madre in un ospizio. L’ospizio è il nostro edificio

I nuovi mostri

Scena dal film “I nuovi mostri”

Ancora qui venne girata una scena del film “La banda del gobbo” (di Umberto Lenzi, 1977). In questo caso una finta insegna lo classifica come “Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà” (che è in realtà il vero ex-manicomio di Roma ma che si trova in tutt’altra zona) dove viene internato il protagonista Tomas Milian.

La banda del gobbo

Scena del film “La banda del gobbo”


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Riferimenti in rete

La Meccanica Romana

Lo stabilimento nasce nel 1927 come S.T.I.M.A. (Società Trattori Italiani e Macchine Agricole Italia),

tratta dal sito

Tratta dal sito “il secolo di ostia”

un nome scelto dal duce al momento dell’inaugurazione, per volontà dell’ingegnere Pio Perrone, un industriale genovese (Gruppo Ansaldo, con diverse società controllate tra le quali la Dinamite Nobel e già proprietario dei quotidiani “Secolo XIX” e “Messaggero”).
L’industriale intuì le potenzialità di un’industria specializzata in macchine agricole in un periodo in cui la dittatura fascista aveva in programma grandi opere di bonifica e conseguentemente acquistò dagli Aldobrandini il terreno, tra il Tevere e la ferrovia Roma-Lido di recente costruzione, confidando nello sviluppo del trasporto fluviale sul Tevere e sul potenziamento della linea ferroviaria. Sperava così in un grande sviluppo industriale della zona, ma nonostante le sue conoscenze nel partito fascista, non si realizzò nessuna delle due ipotesi e lo stabilimento rimase l’unico isolato caso di industrializzazione ostiense.

La S.t.i.m.a. anni 30/40

La S.t.i.m.a. anni 30/40

L’edificio della fabbrica fu progettato dall’architetto Pietro Barbieri e si presenta con la facciata principale rivolta verso la via del Mare (4 ingressi) e due corpi trasversali collegati da uno centrale.

Il corpo di sinistra a tre navate è il più grande ed era il reparto delle lavorazioni pesanti

 

Ingrandisci

Il corpo di destra per le lavorazioni leggere è a una navata con copertura a shed

Lo stile architettonico dell’edificio è classicheggiante e si riallaccia volutamente allo stile della chiesa “Regina Pacis” di Ostia, costruita l’anno precedente (1926).

Le ambizioni di Perrone vengono infrante, oltre che dal mancato collegamento fluviale con Roma, dal costo elevato della corrente elettrica e del trasporto per ferrovia.

Nel 1938 l’ing. propone a Mussolini la riconversione della fabbrica per la produzione dell’acciaio, nel progetto di potenziamento della produzione bellica.

Nel 1941 la STIMA diventa Società Acciaierie Romane.
All’interno della fabbrica viene installato un forno per la produzioni di acciaio utilizzando il minerale estratto dalle sabbie di Ostia ricche di ferro (tramite la “cernitrice magnetica” Inventata dall’ingegner Giovanni Liguori che separava automaticamente la sabbia dalla ferrite).

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Dall’archivio storico Breda

II 23 marzo il Duce, accompagnato dal Ministro delle Corporazioni, si è recato al Lido di Roma per assistere ad alcuni esperimenti di estrazione del minerale di ferro dallo sabbie ferrìfere del Litorale. Erano presenti il comm. Liguori, ideatore della nuova macchina, l’avv. Mattòli e l’ing. Frua della Società Breda. Come tutti i giornali hanno riferito, il Duce ha assistito ad una serie di prove che hanno dato ottimi risultati rilevando la perfetta efficienza del procedimento integralmente autarchico. Il Capo del Governo, che ha esperimentata personalmente una delle macchine, ha anche voluto rendersi conto sul luogo degli aspetti geologici del problema e si è vivamente interessato alle ricerche eseguite per accertare la consistenza dell’immenso patrimonio ferrifero racchiuso nelle sabbie dei nostri, mari. Possiamo aggiungere che sin dai prossimi giorni un primo gruppo di macchine Liguori inizierà sistematicamente sul lido di Roma l’estrazione del minerale di ferro: e che la Società Breda realizzerà entro brevi mesi il suo programma di costruzione della macchina in larghissima serie

Tratto dal testo della foto precedente

L’industria prospera fino a raggiungere le 6000 unità lavorative, ma la caduta del regime segna la definitiva uscita di scena di Perrone.

Nel 1943 la fabbrica fu occupata dalle truppe tedesche e poi minata per essere probabilmente distrutta al momento della ritirata.
Nel gennaio del 1952 venne costituita la Breda Meccanica Romana di Ostia (esisteva già dai tempi della guerra la Breda Meccanica Romana di Torre Gaia che produceva armi).
L’attività principale diventa quella di carpenteria pesante e di rifacimento delle vetture della linea ferroviaria Roma-Ostia. Le foto seguenti sono di Pino Raselli  tratte dal libro “L’Ex-Meccanica Romana presso Ostia Antica“.

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Lavorazione nel padiglione di sinistra

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Lavorazione nel padiglione di sinistra

Foto n.5 di Pino Raselli Tratta dal libro "L'Ex-Meccanica Romana presso Ostia Antica".

Lavorazione nel padiglione di destra

L’interruzione delle commesse segna la definitiva crisi dell’industria e la chiusura nel 1979.

Nel 1981 la Sovrintendenza Archeologica di Ostia Antica mette sotto tutela l’edificio in quanto rientrante nel progetto di un parco del litorale.
Successivamente il Ministero dei beni Culturali, dopo il programma “Mirabilia”, redige un progetto in cui si prevede l’esproprio del fabbricato.
Durante questo periodo vengono svolte delle tesi di Laurea per il riutilizzo dell’edificio come centro museografico, scuola di restauro, centro musicale, sede del museo degli scavi di Ostia Antica.

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Pagina di una delle tesi di laurea per il riutilizzo dell’edificio. Tratta dal libro “L’Ex-Meccanica Romana presso Ostia Antica”.

Nel 1988 il progetto viene abbandonato e l’edificio, nel frattempo sotto vincolo totale, viene ristrutturato rispettandone la struttura esterna e diventa “Cineland” (multiplex cinematografico)
Nell’ala sinistra vengono realizzate 14 sale cinematografiche, la struttura centrale ospita fast food, l’edificio mensa e servizi degli operai diventa la quinta di un anfiteatro e nell’ala destra vengono ospitati un bowling, una sala giochi e qualche negozio.

Veduta aerea

Veduta aerea della attuale struttura

Durante il periodo di abbandono vengono girate nell’edificio le scene di alcuni film tra i quali, “La luna” di Federico Fellini.

e “I mitici, colpo gobbo a Milano” di Carlo Vanzina

Durante la ristrutturazione dell’edifico venne realizzato un VHS che conteneva anche interviste e cenni storici.
Il titolo del filmato è  “La Fabbrica”  e gli autori sono  P.Isaja e M.P. Melandri.

Qui sotto una clip introduttiva


Galleria di  foto scattate nel periodo in cui l’edificio fu abbandonato.


Bibilografia

Roma memorie della città industriale” a cura di E.T. Landini (Palombi Editori)
L’Ex-Meccanica Romana presso Ostia Antica: nella logica dell’ecosistema urbano per il riuso del costruito” a cura di Hilda Selem (Officina Edizioni)
La ricostruzione della S.T.I.M.A in multiplex cinematografica” di Paolina Conti (tesi di laurea)

Il Messaggero: articoli alle date 24/1/90, 15/12/90, 16/12/90, 8/5/91, 7/10/94, 8/10/94, 1/2/95.
Il Tempo: articoli alle date 15/10/94 e 29/10/94.
Corriere della Sera: articolo in data 1/2/95.
La Repubblica: articolo in data 1/2/95.
L’Unità: articolo in data 1/2/95.
Giornale di Ostia articoli alle date 7/10/94 e 3/2/95.
Metropolit: articoli alle date 15/10/94 e 4/2/95.